La rete del legame-madre figlio nel cervello umano

 

 

LORENZO L. BORGIA & GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 18 febbraio 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’errore riduzionistico di attribuire all’azione di una singola molecola un sentimento, un’emozione o uno stato mentale è stato da noi combattuto con un impegno formativo e informativo che ha avuto inizio con i primi atti della nostra società scientifica. A fronte di una divulgazione tendente a proporre “molecole-funzione”, e a volte di una pubblicistica scientifica influenzata dall’interesse farmacologico ad identificare il comportamento modificabile di una singola molecola quale responsabile di un processo psichico, abbiamo costantemente riproposto i criteri derivati dalla ricerca sulle basi neurali delle esperienze percettive, cognitive ed affettive. In particolare, ricordando l’acquisizione principale in materia di fisiologia cerebrale del secolo appena trascorso, ossia l’organizzazione dell’encefalo in reti e circuiti che costituiscono un sistema complesso nel quale non esiste una ripartizione per moduli corrispondenti ai vari stati psichici (amore, odio, attaccamento, avversione, desiderio, curiosità, interesse, ecc.), ciascuno attivato da un particolare neurotrasmettitore, ma un’architettura funzionale che si è evoluta nella filogenesi secondo criteri biologici in risposta a pressioni ambientali. All’interno di queste reti la segnalazione è affidata a decine di trasmettitori diversi e la carenza o l’eccesso di ciascuno, in particolari regioni e condizioni, può influenzare l’effetto fisiologico finale tanto da far apparire tale funzione dipendente da quella molecola. Ma questo errore, comprensibile mezzo secolo fa, non è più ammissibile sulla base delle conoscenze attuali.

Per questo motivo non si giustifica l’elezione dell’ossitocina a “molecola dei legami affettivi”, “molecola della coesione sociale” o “molecola della fiducia”, come ancora accade spesso di leggere. Parlando di basi neurali dei legami interpersonali, la questione merita di essere approfondita, soprattutto in ragione del fatto che gli studi che valutano gli effetti dell’ossitocina sui rapporti sociali e sulle relazioni interpersonali stanno oscurando la ricerca che indaga le basi neurali dei legami, analizzando i sistemi neuronici impegnati nella mediazione degli stati psichici e del comportamento che li esprime.

Leggiamo nel testo riassuntivo di un dibattito sul ruolo dell’ossitocina nello stato affettivo della fiducia: “Il rilascio di ossitocina in condizioni quali il parto, l’allattamento, la suzione, il bacio, le carezze intime e l’orgasmo, ha indotto a ricostruirne una funzione che favorisce la vita sociale, ammettendo che tutte queste situazioni, che sono tipiche del rapporto diadico, in chiave evolutiva costituiscano la porta biologica per l’interazione con gli altri membri della specie. La mediazione ossitocinica di alcune attività neuroniche in aree cerebrali associate a funzioni di interazione, ha rafforzato questa interpretazione. Dati emersi da studi sui roditori hanno indotto degli economisti ad ipotizzare che il rilascio di ossitocina aumenti l’atteggiamento fiducioso nei confronti degli estranei e li ha indotti a verificare questa funzione nell’uomo introducendo un nuovo paradigma sperimentale detto ‘trust game’[1].

L’idea che il piccolo peptide neuroipofisario possa infondere fiducia nel prossimo, ha ottenuto il sostegno da uno studio pubblicato di recente su Nature, nel quale si dimostra che uno spray nasale di ossitocina induce nei volontari un atteggiamento fiducioso verso uno sconosciuto che si occupa del loro danaro, anche dopo che la fiducia è stata tradita più volte. Si è rilevato che il peptide riduceva l’attività nell’amigdala, che media risposte ad ansia, stress e paura, e nel nucleo caudato, implicato nel prendere decisioni[2][3].

Che gli effetti attribuiti all’ossitocina siano dovuti alla sua azione su circuiti intrinsecamente regolati, nei quali hanno un peso sia i neurotrasmettitori in gioco, sia soprattutto le connessioni fra aree con neuroni specializzati in particolari tipi di risposte, si evince anche da quanto si legge in questo articolo da noi pubblicato contemporaneamente al resoconto del dibattito dal quale si è estratto il brano appena citato: “Le formazioni cerebrali che rilasciano ossitocina o rispondono alla sua azione sono numerose e presentano tre caratteristiche comuni: 1) hanno densi campi di recettori per l’ossitocina dai quali provengono messaggi per i neuroni; 2) intervengono nel controllo delle emozioni e del comportamento sociale; 3) prendono parte alla modulazione del rilascio di dopamina nei sistemi mesencefalici che determinano il rinforzo connesso con le esperienze positive o piacevoli (sistema a ricompensa)”[4].

Il sistema mesocorticolimbico della dopamina è al centro del processo di “rinforzo”, che determina la tendenza a ripetere comportamenti associati a stimoli naturali o a sostanze psicotrope d’abuso e in grado di favorire la ripetizione dell’esperienza. Un meccanismo comune al rinforzo delle esperienze gratificanti consiste nell’attivazione dei neuroni dopaminergici della VTA (area tegmentale ventrale) che proiettano a regioni corticali e limbiche[5]. L’innalzamento dei livelli sinaptici di dopamina in una di queste regioni bersaglio, ossia il nucleo accumbens, è particolarmente importante per il rinforzo. Schematicamente, il nucleo accumbens agisce come interfaccia fra le regioni limbiche e corticali importanti per la motivazione, da una parte, e i circuiti motori responsabili dell’esecuzione di comportamenti motivati, dall’altra. Gli stimoli gratificanti naturali, quali quelli derivati da esperienze affettive, oltre che alimentari e sessuali, determinano un grado modesto di attivazione dei neuroni dopaminergici, rispetto alle droghe di abuso che, oltre a causare un innalzamento molto marcato dei livelli di dopamina, determinano una perdita dei normali meccanismi di regolazione del neurotrasmettitore. Ad esempio, la dopamina rilasciata per effetto di una ricompensa naturale, quale quella della compagnia di una persona amata, viene normalmente rimossa dalla proteina trasportatrice (DAT), che consente il fisiologico termine dell’azione; la cocaina, invece, blocca la rimozione da parte di DAT, innalzando la concentrazione post-sinaptica di dopamina e prolungando i suoi effetti sui recettori per mancanza del meccanismo molecolare che porta alla cessazione dello stimolo.

Oggi è noto che il sistema dopaminergico mesocorticolimbico ha un ruolo nei legami affettivi, ma sulla base neurale di quel filo invisibile che pone in stretto rapporto la vita psichica della madre con quella del figlio nelle fasi precoci della vita, si sa veramente poco. I meccanismi neurali dei legami sono infatti studiati nei roditori e nessun lavoro sperimentale è stato ancora pubblicato sulla neurochimica dell’affiliazione sociale umana; almeno fino allo scorso 13 febbraio, quando è apparso online sul sito web di PNAS USA, uno studio condotto da Shir Atzil con Lisa Feldman Barrett e vari colleghi che hanno individuato nella rete dell’amigdala mediale un importante sistema neuronico a supporto della funzione del legame materno nella nostra specie.

(Atzil S., et al. Dopamine in the medial amygdala network mediates human bonding. Proceedings of the National Academy of Sciences USA - Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1612233114, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Athinoula A. Martinos Center for Biomedical Imaging, Massachusetts General Hospital and Harvard Medical School, Charlestown, MA (USA); Department of Neurology, Massachusetts General Hospital, Harvard Medical School, Boston, MA (USA); Department of Psychology, Northeastern University, Boston, MA (USA); Yale Child Study Center, New Haven, CT (USA); Gonda Brain Research, Bar Ilan University, Ramat Gan (Israele).

I legami che si creano nelle relazioni più precoci della vita, soprattutto con i genitori, hanno conseguenze sperimentalmente dimostrate sulla salute, sull’equilibrio psicologico nei rapporti sociali e sulla capacità produttiva nelle attività lavorative.

Hanno ormai valore storico gli studi di psicologia sperimentale sull’assenza della madre che dimostrarono nella scimmia conseguenze negative estese dalla mancanza di sicurezza di fondo, “basic trust”, a frequenti reazioni di intensa paura associate ad iperattività dei sistemi dello stress. Le psicodinamiche ed altre branche delle discipline psicologiche, come la psicologia dell’età evolutiva, hanno approfondito nel tempo molti aspetti dell’influenza del rapporto madre-figlio sullo sviluppo della personalità, sull’atteggiamento mentale nelle relazioni interpersonali e sociali, e sulle tendenze comportamentali.

Anche se questo rilievo delle relazioni affettive precoci è nozione consolidata, quasi nulla si sa dei meccanismi neurali che rappresentano il legame nel cervello umano. Lo studio qui recensito, impiegando tecnologie all’avanguardia per l’osservazione e la valutazione funzionale mediante neuroimmagini di attività cerebrali in atto, ha dimostrato che il legame materno nella nostra specie è associato alla funzione di neuroni dopaminergici dello striato e al reclutamento di una rete cerebrale corteccia-striato-amigdala attiva nell’esperienza dell’affiliazione. Una speciale osservazione di quello che gli autori dello studio chiamano affiliating brain è stata garantita dalla simultanea verifica di risposte neurochimiche e dell’attività di reti neuroniche estese all’intero cervello in madri che si occupavano dei propri figli lattanti.

Il presupposto sul quale si è fondato il progetto sperimentale di Shir Atzil e colleghi è costituito da risultati della ricerca su animali e su membri della nostra specie, che hanno dimostrato la dipendenza dell’affiliazione sociale, e in particolare del legame materno, dal circuito dopaminergico a ricompensa.

I ricercatori, per valutare il ruolo dei sistemi dopaminergici centrali nei legami umani, hanno impiegato uno scanner combinato per la risonanza magnetica funzionale (MRI) e la tomografia ad emissione di positroni (PET), così da registrare simultaneamente le risposte dopaminergiche delle madri ai propri bambini e la connettività fra nucleo accumbens, amigdala e corteccia prefrontale mediale, che formano una rete intrinseca a supporto del funzionamento sociale, definita operativamente “rete dell’amigdala mediale”.

I ricercatori hanno poi misurato la sincronia comportamentale della madre con il proprio figlio e con l’andamento dell’ossitocina plasmatica.

I rilevi effettuati suggeriscono che il comportamento materno sincronico è associato ad accresciute risposte della dopamina al proprio figlio e a più forte connettività intrinseca all’interno della rete dell’amigdala mediale. Poi, si è accertato che una più forte connettività di rete è associata ad accresciute risposte della dopamina all’interno della rete e a una diminuzione dell’ossitocina del plasma.

Nel complesso, questi dati offrono supporto all’importanza della dopamina nel legame umano fra madre e figlio e, potenzialmente, in altri stati neurofunzionali associati a rilevanti vincoli affettivi nella nostra specie.

Con gli autori dello studio osserviamo che la ricchezza e complessità della vita sociale umana, talvolta solo potenziale, come accade negli anziani, talaltra attivamente esercitata, come spesso accade nell’età media della vita, non hanno equivalenti nella realtà animale, e pertanto non si prestano ad essere studiate mediante modelli sperimentali non-umani. Così è difficile immaginare la realizzazione di modelli animali probanti per lo studio di alterazioni patologiche dei legami affettivi, quali quelle che si verificano ai due estremi di una gamma di disturbi, come, ad esempio, l’alterazione pervasiva dello sviluppo che dà luogo al disturbo autistico e le dinamiche psicopatologiche che osserviamo nella depressione post-partum. Per tali ragioni, la via metodologica indicata da questa osservazione del cervello umano in funzione sembra costituire un passaggio obbligato per le nuove ricerche su neurofisiologia, neurochimica e fisiopatologia dei legami affettivi umani.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia & Giovanni Rossi

BM&L-18 febbraio 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si veda: Note e Notizie 05-07-08 L’ossitocina cerebrale e i nuovi studi. Negli anni successi su questa falsariga sono stati condotti numerosissimi studi.

[2] Leonie Welberg, Trust in Oxytocin. Nature Reviews Neuroscience 9 (7): 500, 2008.

[3] Note e Notizie 05-07-08 Ossitocina e fiducia: dibattito.

[4] Note e Notizie 05-07-08 L’ossitocina cerebrale e i nuovi studi.

[5] Alcune sostanze psicotrope di abuso (“droghe”) esercitano azioni indipendenti dalla dopamina che, nel caso di alcune classi di tali sostanze, quali gli oppiati e l’etanolo, hanno importanza primaria per gli effetti di rinforzo.